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II. SITUAZIONE SOCIALE, QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Il benessere di un territorio, la sua competitività, la capacità di attrarre risorse, oltre che dagli indicatori economici esaminati nel capitolo I, devono essere misurati anche in base agli indicatori sociali, dello stato dei servizi collettivi e dell’ambiente naturale e culturale. In questo capitolo questi profili vengono esaminati, cercando di evidenziare, ove appropriato e possibile, le azioni di politica economica volte a migliorare le condizioni esistenti. Vengono innanzitutto presentati elementi informativi sulle risorse umane disponibili nel territorio, sulle condizioni di disagio sociale delle famiglie, sulla situazione di legalità e sicurezza e sulla sostenibilità ambientale dei processi di sviluppo (cfr. par. II.1-4). L’analisi dei servizi collettivi prodotti utilizzando le infrastrutture esistenti, oltre alla più tradizionale valutazione del gap infrastrutturale fisico, consente di confrontare anno dopo anno
ritardi e recuperi del Sud rispetto al resto del Paese e nel confronto internazionale (cfr. par. II.5). L’attenzione è incentrata sull’erogazione di servizi, la cui qualità può accrescersi anche grazie a interventi di limitate dimensioni, che valorizzino lo stock infrastrutturale esistente, ma sottoutilizzato. Le infrastrutture, il recupero del gap nel volume e nella qualità dei servizi collettivi, acquisiscono significato quando sono in grado di cedere valore al resto del sistema produttivo, ossia quando con il loro esercizio riescono a far diminuire i costi delle imprese o a migliorare direttamente lo“star bene” dei cittadini. È così che lo stock di capitale pubblico infrastrutturale assolve al proprio compito, sostituendo forme transitorie di sostegno alle imprese.
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II.1.3 Legalità, criminalità e sicurezza
Nel campo della sicurezza la dinamica degli ultimi due anni è apparentemente contraddittoria: incremento della delittuosità (dimensione oggettiva) e decremento della sensazione di insicurezza (dimensione soggettiva). Nel 2002 si registra, dopo anni di diminuzione, un andamento lievemente crescente della delittuosità
(9) . Il complesso dei delitti denunciati supera i 2,2 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente (3,1 per cento), meno marcato nel Sud (1,4 per cento) che nel Centro-Nord (3,9 per cento). L’andamento analogo che si profila per il 2003 pone dubbi circa la fine del lungo ciclo positivo. La distribuzione territoriale dei delitti tra macroaree vede, nel 2002, una lieve crescita del divario tra Centro-Nord (che supera il 70 per cento di delitti denunciati) e Sud. Il numero di delitti per 100 abitanti è pari a circa 3 nel Sud e 4 nel Centro-Nord. Tra i delitti di criminalità diffusa è stabile il dato dei furti, mentre cresce ancora, quello delle rapine e delle truffe (39,5 per cento) soprattutto nel Centro-Nord. Tra i delitti di criminalità violenta si registra una forte riduzione dei reati “visibili”, come gli omicidi (soprattutto nel Sud) e le lesioni dolose. Una contrazione si registra anche per talune manifestazioni della criminalità organizzata, come degli omicidi di grande criminalità, il contrabbando, gli incendi dolosi e gli attentati dinamitardi.
Crescono, invece (ma calano nel Sud), i reati concernenti gli stupefacenti (5,3 per cento in Italia ma –4,5 per cento nel Sud) e la prostituzione (5,7 per cento in Italia, ma –2,9 nel Sud) (cfr. tav. II.3).
Nel dettaglio, gli omicidi di criminalità organizzata nel Sud passano da 114 a 90, con una forte riduzione anche in Campania (da 57 a 47), che annovera ancora il 51 per cento degli eventi. Notevole è la riduzione dei reati di contrabbando nel Sud (–72,4 per cento), cui hanno contribuito le azioni di rafforzamento tecnologico condotte con i fondi strutturali
(10) . Produzione e commercio di stupefacenti, così come lo sfruttamento della prostituzione, sono fenomeni massimamente sommersi: l’azione di contrasto indica, comunque, mercati concentrati soprattutto nelle aree urbane del Centro-Nord. Il dato dei sequestri di droga
(11) si riduce nel 2002 (–10,8 per cento), in ragione del dimezzamento del dato sulla marijuana, a fronte di una crescita significativa dei sequestri di droghe pesanti (cocaina 122,6 per cento, eroina 25,57, ma anche anfetaminici)
(12)
Rinviando ai precedenti Rapporti per le necessarie cautele circa l’analisi dei dati sulla delittuosità, si può affermare che l’andamento dell’ultimo anno, sia pure in lieve controtendenza, non inficia il trend di progressivo ridimensionamento dei fenomeni riscontrabile nell’arco temporale 1996-2002, sia nel totale generale dei delitti, sia per tipologie significative, come gli omicidi (–32,2 per cento in totale e –54,2 per cento per quelli di criminalità organizzata) o i furti. Crescono, nello stesso tempo, le rapine (13) , gli incendi dolosi e gli attentati dinamitardi e/o incendiari. L’analisi per macroarea del settennio conferma le tendenze già evidenziate nel V Rapporto: si riduce il divario tra Centro-Nord e Sud, sia per un più marcato calo degli indici di criminalità nel Sud, sia per la diffusione di reati di criminalità organizzata ormai in tutte le regioni.
In particolare:
– la riduzione degli omicidi nel Sud è molto più netta; il Sud passa dal 65 per cento dei delitti nel 1996 al 53 per cento nel 2002;
– la contrazione dei furti è meno marcata nel Centro-Nord che nel Sud;
– le denunce di estorsione hanno visto un progressivo avvicinamento del Centro–Nord al dato del Sud, fino al superamento nel 2002;
– il dato degli incendi dolosi, spesso strumentali alla perpetrazione di più complessi disegni criminali, è cresciuto più nel Centro-Nord che nel Sud;
– il dato complessivo sulle rapine, in rialzo a livello nazionale, cresce più nel Centro-Nord che nel Sud;
– il numero delle associazioni per delinquere (art. 416 c.p.) aumenta nel Centro-Nord e si riduce nel Sud, in ragione di una differente crescita delle strutture criminali organizzate, “al netto” dei fenomeni tipicamente mafiosi;
– pur nel crollo generalizzato dei reati di contrabbando, la quota del Centro-Nord sfiora il 60 per cento, contro una media del 10 per cento del triennio 98-2000;
– nell’Italia settentrionale c’è maggior quantitativo di droga sequestrata (58,9 per cento dell’eroina, 54,9 per cento della cocaina, 52,7 per cento della cannabis, 88,1 per cento degli anfetaminici 91,8 per cento dell’L.S.D.).
La figura II.10 confronta l’incidenza delle due macroareee (Sud e Centro –Nord) sul totale complessivo della delittuosità nel 1996 e nel 2002 e sintetizza visivamente alcuni dei processi di “avvicinamento”.
Le tendenze rilevate di “livellamento” territoriale, si correlano ad una maggiore diffusione della criminalità organizzata, non più circoscrivibile alle tradizionali organizzazioni meridionali (mafia, camorra, ‘ndrangheta, Criminalità pugliese), ma comprensiva di una vasta galassia di aggregazioni, spesso a connotazione etnica, con carattere di transnazionalità sempre più marcato.
Un’analisi della “mobilità dei criminali” (14) , se conferma che “gli spostamenti più consistenti sono risultati quelli dalle province del meridione verso quelle ad alta densità abitativa dell’Italia Nord occidentale e centrale”, mette, comunque, in risalto elementi interessanti a favore di una trama più omogenea a livello nazionale, come il dato attorno al 15 per cento dei condannati in Sicilia ed in Sardegna provenienti dall’Italia nord occidentale. Complessivamente, la grande criminalità è in espansione in tutte la macroaree del Paese, sia per il diffondersi, accanto ai tradizionali sodalizi di matrice nazionale, dei gruppi criminali stranieri sempre più spesso in concorso o “in filiera” con i primi (15) (incremento della dimensione soggettiva), sia per l’estensione dei settori investiti dalla dimensione organizzata della malavita, che includono le attività territoriali (estorsioni, rapine, spaccio, ecc.), l’immigrazione clandestina, le cosiddette ecomafie, il riciclaggio dei proventi del crimine e il loro reinvestimento nell’acquisizione di attività economiche e finanziarie lecite (incremento della dimensione oggettiva). La crescente diffusione e internazionalizzazione dei fenomeni criminali è oramai una tendenza diffusa in tutta l’Unione europea (16) , con una espansione, sin dai primi anni 90, della dimensione transnazionale, sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello delle tipologie di attività criminali (cioè sia in termini quantitativi che qualitativi), sia come aumento della cooperazione internazionale tra gruppi diversi. Nell’attuale scenario europeo si rileva come “sebbene è ancora il caso di affermare che la scena criminale dell’UE è dominata da gruppi criminali organizzati autoctoni, il loro relativo predominio è sottoposto alla sfida di un numero crescente di gruppi criminali organizzati stranieri” (17) (tra i quali si segnalano quelli: albanesi, russi, turchi, cinesi, colombiani, nigeriani, marocchini e dell’est Europa). Sul piano della valutazione della minaccia al livello europeo, è significativo che il citato Rapporto UE non indichi uno specifico ruolo della criminalità italiana nel network dei maggiori traffici (droga, immigrazione esseri umani, contrabbando). D’altro canto gli effetti del radicamento del crimine organizzato nel Sud, pur se meno visibili del passato, continuano a trasparire dall’analisi statistica, laddove:
– le situazioni conflittuali nell’ambito della criminalità di tipo mafioso producono ancora un apprezzabile numero di omicidi, con effetti emulativi sulla criminalità comune. Certamente le conflittualità violente sono sempre più circoscritte a talune aree (nel 2002, la sola provincia di Napoli annovera il 10 per cento degli omicidi e il 35 per cento degli omicidi di mafia), ma si rilevano anche nuove aree di crisi (come il foggiano) per l’emersione di nuove forme criminali organizzate;
– gli attentati dinamitardi ed incendiari (sintomatici di una pressione estorsiva e/o intimidatoria sul territorio da parte della malavita organizzata) crescono nel Sud, con una quota che sfiora il 90 per cento del dato nazionale nel 2002. Anche qui gli episodi si concentrano in alcune realtà critiche: la sola provincia di Reggio Calabria (196 episodi) supera nel 2002 il 17 per cento del dato nazionale;
– il rischio usura è più elevato nel Sud; al di là del numero visibile delle denunce (laddove comunque il Sud esprime oltre metà del dato), il Ministero dell’Interno (18) afferma che “l’usura appare più radicata nelle Regioni in cui risulta presente la criminalità organizzata, in particolare Campania e Sicilia”;
– vi è una crescita, nel Sud, dei delitti concernenti gli stupefacenti (2,4 nel settennio), a fronte di un calo nel Centro-Nord (–4,4 per cento) (19) .
Accanto alla delittuosità, il Sud (specie nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa) evidenzia indici più elevati di illegalità diffusa, riferiti a:
– l’illegalità ambientale (20) , con il 46,4 per cento degli illeciti accertati nel 2002;
– l’abusivismo edilizio (21) , con il 55 per cento degli illeciti accertati nel 2002 ed il “ciclo del cemento” con il 47,7 per cento delle infrazioni accertate;
– il “"ciclo dei rifiuti"” con il 38,6 per cento degli illeciti accertati (22) ;
– interruzioni alla viabilità in genere (blocchi stradali, ferroviari, ecc.) con oltre il 73 per cento degli eventi nel meridione (23) .
Il persistere di profonde differenze tra le due macroaree del Paese, risente ancora fortemente del radicamento della criminalità organizzata nel Sud. Nel Centro-Nord, infatti, le tradizionali organizzazioni di tipo mafioso si dedicano prevalentemente alle attività più proprie della criminalità economico-finanziaria, lasciando ampi spazi alla malavita straniera e alla criminalità comune; nel Sud la criminalità organizzata presenta ancora forti caratteri di continuità nelle sue espressioni di malavita “territoriale” (24) .
Il persistere di un radicamento della malavita di tipo mafioso in molte aree del Sud risulta, perciò, ancora fortemente penalizzante per gli effetti di condizionamento sull’attività economica locale e per il complessivo svantaggio competitivo che ne può derivare. Esso costituisce, innanzitutto, un fattore distorsivo del mercato in quanto altera la dinamica dei pubblici appalti, così come il mercato del lavoro e dei capitali. In secondo luogo, la presenza di un soggetto di prelievo parallelo, che si alimenta parassitariamente infiltrandosi nell’economia legale, drena le risorse disponibili sul territorio alterando i meccanismi redistributivi. L’infiltrazione nel settore degli appalti e dei lavori pubblici, in particolare, resta sicuramente tra le attività strategiche della malavita di tipo mafioso, poiché rappresenta, allo stesso tempo, la fonte primaria di arricchimento, il sistema di legittimazione sociale e della ricchezza, uno strumento di controllo del territorio e del tessuto economico, il momento di raccordo e di possibile scambio con ambienti amministrativi locali. Specifici segnali di pressione sul settore degli appalti e dei lavori pubblici si rinvengono in tutte le realtà criminali meridionali (25) .
Accanto al sentimento di insicurezza, intimamente legato alle manifestazioni più visibili di criminalità diffusa, ma spesso senza alcuna rispondenza nell’andamento dei consueti indici di delittuosità, sembrano emergere negli ultimi anni indicazioni tendenzialmente positive circa i livelli della sicurezza percepita. Tale percezione è oggi monitorata come uno dei fattori di contesto di un territorio (sia pure di natura eminentemente emotiva) importante nella valutazione della qualità della vita dei cittadini (26) , così come nelle scelte degli operatori economici.
Nel 2002, la quota di famiglie che considerano il rischio più legato alla criminalità tra i disagi problematici nelle aree di residenza tocca il dato più basso del decennio (29,2 per cento) (27) . Vi è un evidente livellamento tra area meridionale (28) , centrale e nord occidentale.
La disamina per regioni evidenzia valori particolarmente alti in Campania e Lazio, ma percentuali superiori alla media si rilevano anche in regioni del Nord-Ovest ed in una del Nord-Est. I dati più bassi si trovano nelle Regioni più piccole senza grandi metropoli, confermando la connessione tra percezione del rischio di criminalità e dimensione degli insediamenti urbani, che prevale sulla collocazione regionale. La percezione di insicurezza è, infatti, un fenomeno tipico dei comuni di grande dimensione, mentre il disagio è molto più ridotto nei comuni minori.
Complessivamente, nel confronto tra il 2002 ed il 1997-98, la percentuale delle persone sicure quando escono di sera nella propria zona è aumentata di quasi 2 punti (29) , con
riduzioni più significative dell’insicurezza proprio nelle aree ritenute tradizionalmente più critiche come il Sud (–3,1 per cento di insicuri), le Isole (–3 per cento) ed i comuni al centro di aree metropolitane (–3,2 per cento). Nello stesso arco temporale la percentuale di coloro che non si sentono sicuri da soli in casa di sera aumenta nel Nord-Est (dal 10,4 per cento al 13,2) e diminuisce al Sud (dal 15, 1 per cento al 13,9). Segnali positivi a conferma di un miglioramento nella percezione di insicurezza derivante dalla criminalità si rinvengono in ulteriori indagini (30) .
Accanto ai fenomeni criminali veri e propri, sulla percezione di insicurezza incidono anche realtà di marginalità e degrado sociale, sebbene con valori sensibilmente più bassi del rischio criminale e in forte contrazione dal 1999 al 2002. La diminuzione riguarda tutti gli indicatori e si riscontra in particolare: per i fenomeni legati all’uso e allo spaccio di droga soprattutto nell’Italia centrale e nord occidentale e nei comuni centro e periferia dell’area metropolitana; per la visibilità di mendicanti e persone senza fissa dimora nel Nord-Ovest; per gli atti vandalici (31) contro i beni pubblici nell’Italia nord-occidentale e nei comuni centro dell’area metropolitana; per la presenza di prostitute nei comuni centro e periferia delle aree metropolitane e nei piccoli comuni fino a 2.000 abitanti. Per tutte le tipologie di degrado i valori più alti di insicurezza sono nei comuni centro di aree metropolitane.
Accanto agli indici positivi riferiti alla percezione di insicurezza delle famiglie e delle persone, andamenti non dissimili si rinvengono anche per le sensazioni all’interno del tessuto economico produttivo. Un analogo trend favorevole emerge dall’analisi svolta dal Censis (32) che considera le possibili minacce alla coesione interna dei localismi produttivi: la sensazione di minaccia che promana dalla criminalità organizzata e diffusa raggiunge un picco nel 1999, per poi ridursi, di oltre la metà, nel 2002.
Secondo altre indagini (33) , la presenza della criminalità nel Sud è avvertita come “un problema superiore alle previsioni” dal 23 per cento degli imprenditori del Nord che hanno intenzione di avviare un progetto nel Sud e solo dal 14,2 delle imprese che hanno già realizzato un investimento nel Sud. Tuttavia, in sede di colloqui qualitativi, nessuna delle imprese già presenti nel Sud ha lamentato la presenza di particolari fenomeni differenziali di criminalità “organizzata” o “comune” (34) rispetto a quelli riscontrati nei loro stabilimenti del Nord e neppure problemi particolari nella selezione della manodopera, o nelle relazioni con il tessuto locale per la commercializzazione e distribuzione dei prodotti (35) .